Fra Dio e “mamona”
Rischiamo, ormai, di festeggiare il Natale senza Gesù. C’è un’idolatria del denaro che, senza attacchi eclatanti, sta accantonando la dimensione religiosa delle varie feste. La ricchezza si pone come antidivinità. Lo faceva anche al tempo di Gesù, che ci mette in guardia: “Nessun servo può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mamona” (Lc 16,13). È proprio questo “mamona” che si pone come divinità antitetica. La contrapposizione evidenzia la inconciliabilità fra Dio Amore, che si dona, e l’egoismo, che pretende il possesso per se stesso. Il termine “mamona” indica la ricchezza disonesta, e lo è quando non va nella direzione della condivisione. Si è creata una religione che adora questo idolo del possesso ad ogni costo. C’è come una religione del capitalismo, che inquina le nostre festività.
A Natale ci saranno miriadi di “babbi natale” che dal verde dell’abito sono passati al rosso in omaggio ad una bevanda di successo. Se si ritorna alle origini dello scambio dei doni natalizi si può ritrovare la via della condivisione come centro del mistero dell’incarnazione. Infatti, nel Natale celebriamo il Figlio di Dio che si incarna. Nella lettera ai Filippesi ci viene rivelato che il Figlio si spoglia di sé per diventare simile a noi. Questo è il mistero: la sua condivisione con noi per trascinarci nella sua intimità divina, quando saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è (1° Gv 3,2). La condivisione è, dunque, il criterio della nostra fede. Così la ricchezza disonesta diventa onesta quando viene condivisa e distribuita. Nella parabola di Lazzaro al ricco viene data la responsabilità del povero (Lc 16, 19,31). Il Vangelo propone vie che danno senso alla vita, che ricordano l’amore di Dio per noi, che conducono ad una pace fra i popoli, giustizia fra i ceti, armonia fra i cittadini. I doni natalizi, la condivisione della mensa e i festeggiamenti possono essere sottratti alla frenesia del consumo e orientati alla fraternità, alla solidarietà, alla pacificazione delle persone e delle società. La sfida è prima culturale ma insieme anche di stili di vita, che comportano una conversione di pensieri e di scelte operative. Avere un pensiero, la cui mancanza fu denunciata già da Paolo VI, ci sottrae alla massificazione; ci sospinge sulla rivitalizzazione della dimensione di popolo, di società vitale. Chi pensa può mettere in discussione potere e ricchezza come criteri fondamentali, indirizzando ad una vita umana in senso pieno, alla ricerca di beni relazionali e spirituali.
Franco Appi