Rocca San Casciano, al Teatro Italia arriva Alessandro Vanoli con lo spettacolo “Scusate c’è uno storico in sala?”

Sabato 17 febbraio (ore 21.15), al Teatro Italia di Rocca San Ccasciano va in scena “Scusate c’è uno storico in sala?” di e con Alessandro Vanoli. Giocare e ridere con la storia. La storia non ha a che fare con le date. O meglio non si ferma lì. La storia ha a che fare col dubbio: è a quello che serve. Il dubbio applicato a una vertigine di tempo. A partire dal classico “Voi dove eravate quando…?”. Il pubblico viene chiamato a costruire lo spettacolo con “uno storico in sala”. Ingresso: 14 euro intero; 12 euro ridotto. Informazioni, prenotazioni e campagna abbonamenti: 376.1224452. Prenotazione on line – https://www.diyticket.it/events/teatro/14261/scusate-ce-uno-storico-in-sala

“Ve lo dico subito: questa è una lezione di storia… quindi pensavo di lasciare un minuto e mezzo per consentire a quanti volessero di lasciare la sala con decoro. Sì tanto vale che ve lo dica subito: sono uno storico. E posso pure aggiungere che mi sarebbe piaciuto eccome, negli anni, che qualcuno l’avesse chiesto: ‘Scusate c’è uno storico in sala?’. Mica solo a me, a tutti i miei colleghi che all’università li dovevamo sopportare quelli delle altre facoltà: Giurisprudenza, Economia: Arrivavano lì in biblioteca, ti guardavano i libri sul feudalesimo e ti facevano ‘Ah anche a me piace tanto la storia…’ (che era tipo: ‘Beato te che ti diverti!’)”. (Alessandro Vanoli)

Comincia così un ironico racconto autobiografico che è un po’ una lezione di storia e un po’ una riflessione su come oggi viviamo il passato e su come sia cambiato il modo di studiare, raccontare e ascoltare storia. Un monologo di un’ora e un quarto, che comincia con un’interrogazione: voi cosa ricordate di storia? Ricostruendo assieme al pubblico una linea del tempo che vede sfilare grandi civiltà e personaggi famosi. Per insinuare un primo dubbio: “Vi sembra normale che in questa lista manchi, che so, l’India, tutto l’islam e la Cina (tremila anni suonati di civiltà)?”.

Poi il racconto: “Ve lo ricordate dove eravate quando cadde il muro di Berlino?”, che è l’inizio di una storia personale e collettiva assieme: cosa voleva e cosa vuole dire studiare storia? Qual’è il senso di quel mestiere? E qui è ancora il pubblico ad essere chiamato in causa: per capire assieme, giocando assieme, cosa voglia dire la complessità e come in fondo la data di una battaglia conti poi davvero poco. E la seconda scoperta, fu la più importante. La storia non ha a che fare con le date. O meglio non si ferma lì. Certo: la storia è la scienza dell’uomo nel tempo. Si tratta della formula di Marc Bloch, uno dei più grandi storici del Novecento ed è ovviamente vera. Delle date hai bisogno è chiaro: quindi quando la devi imparare a scuola un po’ di date ci vogliono.

Ma se la storia fosse sapere quando c’è stata la battaglia di waterloo o quando è morto Federico II sai che palle! A cosa servirei io? (che già non servo a tantissimo). Queste cose le sappiamo già no? Vi dovete leggere un libro per saperle un’altra volta? No la storia nel suo nucleo migliore non è quella roba lì. La storia ha a che fare col dubbio: è a quello che serve. Il dubbio applicato a una vertigine di tempo. Ma soprattutto agli inizi degli anni Novanta, studiare storia poteva anche essere la decisione di un impegno politico e di uno sguardo che andava lontano verso un mondo che stava diventando sempre più vasto:  non bastavano più le “le guerre in toscana o i castelli del lazio”, non bastavano più le tante anguste storie regionali o nazionali: era a spazi grandi come il mondo che dovevamo tendere: il Mediterraneo, l’islam, la via della seta… le storie e le radici di un mondo ormai globale.

“Ve lo ricordate dove eravate l’11 settembre 2001?”. Il racconto prosegue tra i drammi di inizio secolo. L’incrinarsi di quella speranza globale. E parallela (anche se non necessariamente legata) la progressiva sparizione della storia. Quello sbiadirsi della politica, della memoria memoria e dell’impegno intellettuale, unito all’aggressione di un presente sempre più esondante fatto di immagini, di video, di fotografie e di internet. Così ecco i ricordi, le letture e altri racconti tra una scena degli “Studenti di storia” di Alan Bennet e canzoni che parlano molto di questo complicato presente, a cominciare dalla “Libertà” di Giorgio Gaber. Il resto è autobiografia recente e storia di un cambiamento, forse epocale, che ci attraversa. La storia può stare solo nelle università ormai? Cosa ci chiedono di fare i lettori e gli ascoltatori che affollano i festival e i teatri? A chi stiamo parlando? E soprattutto: a quali domande stiamo rispondendo? Perchè per parafrasare Gaber, la storia non è stare sopra un albero; la storia non è avere un’opinione… la storia è partecipazione. E fino a quando riusciremo a capire questo forse ci sarà ancora bisogno di uno storico in sala.