La preghiera per la vita animata dai volontari del Movimento per la Vita e del Centro di Aiuto alla Vita

“È urgente una grande preghiera per la vita, che attraversi il mondo intero”. Con queste parole San Giovanni Paolo II, nell’Evangelium Vitae, lanciava un appello al popolo della vita per organizzare con le armi della preghiera una mobilitazione silenziosa contro l’olocausto dei bambini innocenti vittime di aborto. I concepiti cui è stato impedito di nascere sono già oltre un miliardo nel mondo, ma dietro ognuno di questi piccoli scartati c’è anche la sofferenza di una mamma che il mondo non vuole vedere. Fedeli fin da subito all’invito accorato di Papa Wojtyla, i volontari del Movimento Per la Vita e del Centro di Aiuto alla Vita si ritrovano ogni secondo giovedì del mese per un’ora di adorazione e di preghiera meditata, attualmente nel Monastero di Santa Maria della Ripa presso la chiesa di San Biagio.

La preghiera è guidata dal diacono Ariano Baccarini, mentre la meditazione è affidata a turno ai volontari, che si alternano nella riflessione scegliendo rispettivamente una pagina di magistero sul tema della vita (in primis l’enciclica “Evangelium Vitae”), un salmo del Salterio e un brano di Vangelo particolarmente risonanti con le parole del Papa. La meditazione del 12 ottobre ha preso spunto dal paragrafo dell'”Evangelium Vitae” nel quale Giovanni Paolo Il si rivolge con tenerezza alle donne che hanno abortito e dall’episodio del pentimento di Giuda descritto nel Vangelo di Matteo al cap. 28 (3-10). Questo il testo della meditazione:

“Che ci riguarda? Veditela tu!”. La stessa risposta che si sentì ricevere dai sommi sacerdoti Giuda, disperato dopo essere tornato in sé, si sentono rispondere oggi le donne da coloro che fino a quel momento le avevano sostenute nella loro volontà di morte.  L’esperienza di Giuda è l’esperienza di ogni donna che ha abortito: tradire la vita provoca la morte interiore, tutto sembra perduto, irrimediabile, si resta soli nell’ indifferenza più totale e scostante. “Veditela tu, è un tuo problema, non ci infastidire oltre, avanti un’altra…”. Sì, avanti un’altra, perché la macchina degli aborti non si può fermare, è un “diritto” sacrosanto e inviolabile, una conquista delle donne. Guai anche solo a mettere in dubbio l’offerta di questo meccanismo infernale. Le donne che vogliono abortire lo devono fare.

L’aborto è una procedura sterile dal punto di vista umano e dal punto di vista pratico. La donna è lasciata libera, ovvero sola, e le viene . di fatto – mentito. Le si dice che quella procedura è suo diritto sceglierla, ma non si indaga mai su cosa ci sia dietro a tale ipotesi di scelta: un marito violento? Un compagno irresponsabile? Una famiglia coercitiva? Un’immaturità dovuta a mancanza di educazione all’assunzione di responsabilità? La donna è sola. Sola a decidere quello che nessuno dovrebbe poter decidere: ossia se un innocente deve vivere o morire. Sola a esercitare un potere che è solo di Dio, quello sulla vita e sulla morte. Sola a portarne le conseguenze. Quello che succede dopo l’aborto non interessa a nessuno, riguarda solo la donna, che rimane svuotata del suo bambino e insieme della sua anima. E se prima pensava di essersi liberata di un problema, poi inizia a soffrire: magari dopo sei mesi, un anno, un decennio. Nessuno dà voce a questa parte dell’universo femminile. Perché le donne hanno il diritto di abortire, ma non hanno il diritto di soffrire dopo averlo fatto. 

L’aborto uccide anche le donne. E lo fa in modo subdolo: armando le loro mani contro loro stesse. Nel 2019, stando a quanto pubblicato dal Primo Rapporto ItOSS (rapporto di sorveglianza della mortalità materna), 18 donne fra quelle che hanno avuto il “diritto” di abortire si sono tolte la vita. In un anno 18 donne si sono impiccate o gettate nel vuoto dopo un’IVG e nessuno ha detto nulla. Nessuna interrogazione parlamentare. Sono donne di serie B: non sono riuscite a vivere dopo aver liberamente attuato un cosiddetto «diritto» e non devono avere voce. Se no il castello crollerebbe. Se no il Servizio sanitario dovrebbe redigere un consenso informato molto più accurato, dovrebbe consentire una formazione più completa e scevra da pregiudizi alle ostetriche, dovrebbe attivare ambulatori di salute mentale specifici sul post-aborto. 

“Che ci riguarda? Veditela tu”. Così le donne rimangono annichilite dal loro dolore, sole e disperate come Giuda di fronte all’enormità del suo peccato. Dio però è Onnipotente, la grandezza della sua misericordia supera ogni colpa e la redime, di fronte al pentimento può distogliere lo sguardo dal peccato e cancellarlo. Giuda non è riuscito a crederci. Ha disperato della divina misericordia, convinto di non poter avere redenzione. Il rimorso che lo divorava e la brutale indifferenza degli uomini a cui aveva riportato i trenta denari lo hanno portato al suicidio.  Di fronte alle donne già morte dentro, il compito degli operatori dei Centri di Aiuto alla Vita è fondamentale e preziosissimo. Attraverso uomini e donne capaci di accogliere il loro dolore e di farsene carico, dicendo che le loro lacrime hanno diritto di esistere, le donne che hanno abortito possono trovare un’ancora di salvezza a cui aggrapparsi per non cedere alla disperazione, possono concretamente sperimentare l’amore infinito di Dio. Possono tornare a sperare di riabbracciare un giorno quel bambino che hanno rifiutato, certe del suo perdono. 

“L’aborto è il più grande distruttore di pace oggi al mondo – il più grande distruttore d’amore”, diceva Madre Teresa di Calcutta, profetessa inascoltata del nostro tempo. Lo vediamo bene in questi giorni, in cui a guerra si aggiunge guerra, in una spirale d’odio che sembra non avere fine. Allora ogni vita strappata all’aborto è un passo verso la pace, ogni donna aiutata a rinascere dalle ceneri della sua anima è una vittoria sul male. Il Signore Gesù, Principe della Pace, benedica il nostro impegno, perché la pace del mondo è anche responsabilità nostra >>.

Carla Lodi, volontaria e membro del Direttivo del Cav