Legacoop Romagna: “Sì al salario minimo, ma da solo non serve”
Si pubblica qui di seguito la posizione della presidenza di Legacoop Romagna in merito alla proposta di legge sul salario minimo.
“La proposta di legge sul salario minimo – e l’ampio dibattito che si è aperto nel Paese – costituiscono una opportunità per affrontare quello che, già dallo scorso autunno, apprestandosi ad aprire il suo 41° congresso, Legacoop Romagna aveva identificato come “il problema salariale” da risolvere. Le cooperative non sono di certo contrarie all’introduzione del salario minimo. Tutt’altro. La diminuzione del potere di acquisto dei lavoratori e delle famiglie, infatti – e il conseguente aumento della percentuale di povertà relativa – è esattamente uno dei fenomeni che in modo più evidente rappresenta un fattore di rischio per la coesione sociale. Una criticità che incide negativamente anche sulla vita delle imprese, sulla qualità delle produzioni e sulla leale concorrenza, che causa difficoltà a reperire personale, limitando l’attività di ogni azienda, soprattutto nel nostro territorio.
Non avere le risorse necessarie per mantenere lo standard medio di vita corrente della società in cui si vive, è una condizione che non dovrebbe riguardare nessun individuo, men che meno se lavoratore attivo. Una difficoltà che è sentita dai giovani che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro dopo anni di impegno e profitto negli studi – e che per questo, spesso, decidono di lasciare l’Italia – ma anche dai lavoratori qualificati e professionalizzati. E non è, almeno per quanto riguarda il sistema Legacoop Romagna, un problema che deriva dalla illegalità e dalla precarietà: il 67% dei 24.000 occupati dalle 400 cooperative associate a Legacoop Romagna, è assunto a tempo indeterminato, mentre il 23% è stagionale (con il sistema di tutele che ne deriva) e il restante 10% assunto a tempo determinato.
Abbiamo ben chiaro, dunque, che aver avviato un dibattito parlamentare sul salario minimo, attraverso un disegno di legge, può rappresentare il primo passo per l’individuazione di una soluzione ad una condizione di instabilità sociale ed economica, che va assolutamente risolta. Eppure, siamo certi che i sette, importanti, punti attraverso i quali si articola la proposta di legge, non siano sufficienti a garantire il raggiungimento del pieno risultato atteso dai lavoratori. Mentre continuiamo a sollecitare, allo stesso tempo, un provvedimento per la razionalizzazione degli oltre 1000 CCNL depositati al CNEL, è assolutamente necessario accompagnare l’iter parlamentare, politico e culturale sul salario minimo, focalizzando l’attenzione istituzionale su altri due obiettivi.
Il primo: un impegno per la riduzione, graduale, ma effettiva e costante, dell’indice di inflazione che, a giugno 2023, superava ancora il 6%, in un contesto economico accompagnato da scenari di forte incertezza. Pensiamo, solo per fare qualche esempio, al costo dell’energia in previsione dell’autunno ma anche alle politiche europee sui tassi di interesse. È la riduzione dell’inflazione la prima, fondamentale soluzione strutturale al problema salariale.
Il secondo obiettivo, non meno importante, attiene al patto fra impresa e pubblica amministrazione, perché alla base di un riconoscimento salariale che non sia solo minimo, ma adeguato alla professionalità prestata, ci deve essere la giusta remunerazione di quel lavoro da parte della stazione appaltante, in particolare se pubblica, nella accezione più ampia del termine: enti locali ma anche aziende partecipate e amministrazione centrali. Non sempre questo accade: non è affatto scontato, ad esempio, in caso di riconoscimento degli aumenti contrattuali e non lo è stato nel caso dell’aumento delle materie prime e dei costi Covid, soprattutto per il grande settore dei servizi. Sì, dunque, al salario minimo, anche da subito. Ma attenzione a non farne una battaglia solo ideologica, fine a se stessa, non accompagnata da politiche economiche e riforme strutturali indispensabili”.