“Camminiamo insieme, nella consapevolezza delle nostre fragilità”

Testimonianza di Riccardo Bertelli – medico – in occasione della Giornata Mondiale della Pace 2023

Mi chiamo Riccardo Bertelli e sono un chirurgo generale ed urgenza dell’Ospedale Bufalini di Cesena.

Don Stefano mi ha chiesto una riflessione in occasione di questa Giornata Mondiale della Pace partendo dalla mia esperienza personale durante la pandemia da Covid 19.

Ma cosa c’entra la recente pandemia con la pace?

Secondo me ci sono diverse analogie tra la pandemia e la guerra: un nemico, un virus, che ha causato in maniera violenta e “ingiustificata” numerose vittime soprattutto tra i più fragili (gli anziani e i malati), ha causato drammatiche separazioni dai propri cari, a volte purtroppo senza neppure dare la possibilità dell’estremo saluto, ha causato isolamento e paura.

Sono state imposte norme dal governo per ridurre i contagi – il lockdown – che hanno limitato la libertà individuale e hanno interrotto i normali rapporti umani, sociali, lavorativi e religiosi… aumentando ulteriormente l’isolamento della gente.

Questa situazione si è via via estesa al mondo intero.

Per quel che mi riguarda, i sentimenti che provavo erano soprattutto di incertezza, tristezza e paura, paura di non saper nulla del nemico e pertanto di non riuscire ad affrontarlo in modo adeguato, di contagiarmi come operatore sanitario e di portare il contagio in casa. Come per tutti la mia vita è stata stravolta: la mia routine lavorativa di chirurgo si è dissolta, le sale operatorie sono state chiuse, e ho iniziato a lavorare con i colleghi medici pneumologi nella gestione dei numerosi pazienti che giungevano in ospedale; ho lasciato la mia casa e, grazie alla generosità di una persona della parrocchia che mi ha offerto una sistemazione, sono andato a vivere da solo per non rischiare di contagiare i miei familiari.

All’epoca nessuno sapeva esattamente cosa stessimo affrontando, tutti i giorni cercavamo aggiornamenti ed indicazioni sulla terapia da somministrare ai pazienti alla ricerca di un farmaco più efficace per la cura e la paura era palpabile ovunque.

Le visite si facevano con camice protettivo, visiera, cuffia, mascherina, doppio guanto, copriscarpe… una specie di armatura che in qualche modo allontanava ancora di più il paziente già isolato… e comunque ogni tanto qualcuno di noi si ammalava.

La stessa paura si leggeva come un riflesso negli occhi dei malati, aggravata dalla lontananza dai propri cari, dal timore di ciò che sarebbe successo e che nessuno poteva prevedere. Ci sentivamo piccoli, deboli e impotenti. Tutto ad un tratto, in questo mondo dove “tutti sanno tutto” e dove la tecnologia è pressoché onnipotente, in realtà nessuno conosceva questo nemico e la gente moriva nonostante i tentativi per salvarla.

Ci siamo ritrovati tutti insieme improvvisamente fragili. Lo stato di bisogno ci ha costretti a uscire dalla “confort zone” del nostro piccolo e comodo mondo quotidiano, delle nostre cose, per tornare a rivalutare quello che è l’essenziale. Ci siamo ricordati la nostra piccolezza e in questo modo è rimasto più spazio dentro di noi per gli altri e per Dio.

Come ha detto il Card. Zuppi durante l’omelia per il funerale di Sinisa Mihajlovic, “la piccolezza è via per conoscere sé stessi, gli altri e Dio”. La prima cosa che una persona fa quando è in una situazione di estremo bisogno è chiedere aiuto…. e così da questa situazione di fragilità e bisogno sono nate tante collaborazioni “limpide”, senza secondi fini: tra medici di specialità diverse, tra diversi operatori sanitari… ma anche fuori dall’ospedale, a livello della nostra comunità religiosa, a livello cittadino e, più in generale, a livello mondiale.

Lo stesso mio lavoro quotidiano si era “purificato”, si lavorava solo per il bene dei pazienti, dando ognuno il massimo come medico pur non essendo pneumologi: facevamo turni insieme a gastroenterologi, ortopedici, chirurghi vascolari… i piccoli screzi tra colleghi, i malumori e le invidie non c’erano più e si lavorava tutto il tempo che era necessario. Nell’affrontare un tale nemico comune, si faceva squadra insieme ed eravamo tutti più vicini.

C’era la “consapevolezza – citando papa Francesco – che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri” e “che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana” e solo unendo le forze si possono superare certe difficoltà… e questa consapevolezza, recuperata dalla pandemia, dovrebbe essere il sentiero di pace che tracciamo insieme. “Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali”. Come uomini e come cristiani dobbiamo imparare sempre più, ogni giorno, a vivere come fratelli, figli di uno stesso Padre, parte di una unica umanità, abitanti della stessa casa che è la Terra. In questo modo, accrescendo in noi questa consapevolezza potremmo veramente “rendere migliore il nostro mondo”.