La riscoperta della fragilità umana: il teologo padre Hernandez alle “Notti di Nicodemo”

“La crisi è sempre un momento di riscoperta di se stessi, pur con tutta la sua drammaticità. E non c’è nulla di più grave di una crisi – dice papa Francesco – che non coglierne il frutto. In questa fase pandemica l’insegnamento che riceviamo è la consapevolezza della fragilità dell’uomo”. Ne è convinto padre Jean Paul Hernandez, teologo gesuita, che è intervenuto, con lo psicanalista Massimo Recalcati e in dialogo con l’arcivescovo Matteo Zuppi, al primo appuntamento delle “Notti di Nicodemo”  nella cattedrale di Bologna lo scorso 23 febbraio. Dialoghi nel solco del Cammino sinodale, in questi mesi dedicati all’ascolto. Abbiamo sentito padre Hernandez, docente alla Facoltà teologica di Napoli e alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, per anticipare qualche riflessione. Il religioso gesuita originario della Svizzera da anni vive in Italia e prima di approdare a Napoli ha trascorso alcuni anni a Bologna e a Roma. Numerose le sue pubblicazioni e ricerche in ambito teologico e pastorale. Padre Hernandez è anche un volto noto ai telespettatori di Tv2000 dove ha anche condotto la trasmissione “In cammino”.

“Fragilità sorella mia” è il tema della prima “Notte di Nicodemo”…

La fragilità dell’uomo è un tema assolutamente attuale, “così antico e sempre nuovo” direbbe Sant’Agostino. Antico perché è la definizione stessa dell’uomo: pensiamo alla sua vulnerabilità in tante mitologie del mondo antico e nei racconti sapienziali. Ma questa dimensione della fragilità è anche nuova, perché periodicamente l’uomo la riscopre ed è come se riscoprisse se stesso e la propria identità profonda. L’uomo è il mortale per eccellenza, in opposizione alle divinità del mondo antico; gli esseri umani sono definiti come “coloro che sono mortali”, limitati, vulnerabili. Tante volte però ce lo dimentichiamo, pensiamo di essere invincibili e così nel momento della fragilità nasce la crisi.

Nella sua attività tra i giovani, anche come coordinatore dei gruppi “Pietre vive”, come vede il Sinodo che stiamo vivendo come Chiesa?

Il Sinodo fa parte dei temi molto amati dalla mia generazione, e anche dai più anziani forse, perché abbiamo nella memoria più o meno inconscia un’idea di Chiesa non dialogante, unilaterale, che non è capace di ascoltare l’esperienza dei credenti. Oggi invece è un tema molto imbarazzante per i giovani e non facile da trasmettere, perché se stanno in un cammino di Chiesa, stanno già in un Sinodo: cioè camminano già insieme, altrimenti non ci starebbero. Parlare di Sinodo è come parlare di Chiesa così come le giovani generazioni l’hanno incontrata e adottata. Non ci sono giovani credenti che non siano già in un cammino sinodale, opposto a quello che può essere lo schema più piramidale di un popolo piatto, che deve obbedire, e di una gerarchia che dall’alto detta le cose da fare e soprattutto le cose da non fare. Camminare piace moltissimo alle generazioni più giovani: il pellegrinaggio, il cammino è un progredire, una serie di passi. E il passo è uno squilibrio tra due brevi momenti di equilibrio e allora “synodos” (cammino insieme) è essere squilibrati insieme, e proprio perché siamo insieme questo squilibrio diventa una profonda condivisione, una profonda comunione, un’esperienza nuova.

Uno dei suoi ambiti di studio è quello dell’arte. Come può aiutarci in momenti difficili come questo?

 L’arte è sempre la rielaborazione di una ferita profonda, di un disagio, di uno stridore, di un malessere, non c’è artista che non sia malato esistenzialmente. In questo l’artista è la quintessenza dell’essere umano, chiamato a lasciare che Dio trasfiguri la ferita, il peccato, in creatività. Nel libro dell’Esodo Dio concede la capacità artistica al popolo d’Israele che costruisce come prima opera d’arte il santuario, la tenda dell’incontro. Questo edificio, questa tenda è l’emblema più bello di quello che deve essere la propria vita: un luogo perché altri incontrino Dio. E molti artisti, anche contemporanei, sono stati profondamente consapevoli di questo, al di là del loro credo o appartenenza ecclesiale.

A cura di Luca Tentori