Azione Cattolica, Edoardo Russo: “Abitiamo significativamento il tempo in cui viviamo”

Edoardo Russo

La pandemia ci ha fatto toccare con mano che davvero quella umana è una famiglia sola, al di là di tutte le differenze e le distanze, e che si salva solo se si comporta da famiglia: se ciascuno avverte la responsabilità nei confronti di tutti coloro che ne fanno parte e per la casa comune in cui abitiamo, se ci pensiamo come fratelli e sorelle, chiamati a custodire ciò che ci rende tali. Se siamo capaci di far prevalere la logica del “siamo tutti sulla stessa barca” rispetto a quella del “si salvi chi può”.

È questo, senza dubbio, il primo e più importante cambiamento che dobbiamo saper realizzare. Forzare la gabbia della tristezza individualista che ci impedisce di pensare il futuro come un destino comune, un orizzonte che ci comprende tutti e che, proprio per questo, non possiamo pensare di affrontare restando riparati dietro un muro fatto di privilegi, ingiustizie, violenze. È innanzitutto un cambiamento dello sguardo, quello che ci viene chiesto: vedere e comprendere in maniera differente le aspirazioni, la vita e le lacrime di coloro conoscono fin troppo bene il senso di incertezza, di timore e di impotenza che anche noi abbiamo sperimentato in questi mesi, e lo conoscono perché ci sono nati e cresciuti dentro: a causa della povertà, della guerra, degli sconvolgimenti climatici, della criminalità, della discriminazione.

E invece ci siamo trovati impreparati di fronte alla grande tempesta che si è abbattuta sul mondo proprio perché, tutti presi da piccoli e grandi egoismi, piccole e grandi rivalità – tra gli individui, tra i gruppi sociali, tra gli stati, tra le diverse aree del mondo – “non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato”. Questa volta non possiamo permetterci che la storia passi sopra la nostra testa senza interrogarci a fondo sul nostro modo di vivere, di produrre, di consumare, di distribuire la ricchezza, di utilizzare le risorse pubbliche, di organizzare i sistemi sanitari, di investire sulla formazione e sulla ricerca, di regolare i flussi migratori, di partecipare alla vita politica e di promuovere la democrazia, di costruire le relazioni tra gli stati, tra le culture, tra le religioni diverse.

A noi credenti, in modo particolare, è chiesto non solo di saper abitare in maniera significativa il tempo in cui viviamo, ma di farlo sapendolo leggere in profondità e sapendo, perciò, vedere il bene che è già all’opera dentro di esso, e quindi sapendo coltivare la speranza. Saper leggere la storia e coltivare la speranza dentro di essa significa allora anche ricordare che siamo chiamati a vivere da fratelli. Capaci di custodire il sentimento di fiducia negli altri e di responsabilità verso tutti che questi mesi di paura e di condivisione ci lasciano in eredità, per tradurlo in ricerca di nuove alleanze. Alleanze tra le nazioni, tra i gruppi sociali, tra le generazioni. Tra natura e abitanti della terra, tra istituzioni e cittadini, tra scienza e politica, tra ricchezza e bisogno. Tra credenti e non credenti. Perché più di ogni altra cosa questi mesi di sofferenza ci hanno insegnato che davvero “nessuno si salva da solo” (Evangelii gaudium, 113).