“Democrazia e partecipazione diretta”: i contributi di Marco Conti e Marco Olivetti

Marco Conti

Pubblichiamo qui di seguito una sintesi degli interventi preparati da Marco Conti (presidente dell’associazione Paolo Babini e Consorzio di Solidarietà Sociale di Forlì) e Marco Olivetti (costituzionalista e giornalista di Avvenire) per il primo incontro della Scuola di Formazione all’Impegno Sociale e Politico, saltato a causa del Coronavirus. I due contributi vertono sul tema “Democrazia e partecipazione diretta”. Il prossimo appuntamento in programma è previsto per lunedì 9 marzo al Teatro Don Bosco (via Ridolfi 29), alle 20.45, con gli interventi di Francesco Marinelli (segretario generale Cisl Romagna) e Paola Scalzotto (Cna Professioni Forlì-Cesena) su “Lavoro, occupazione, distribuzione di ricchezza”.

Marco Conti

Il “governo del popolo” (democrazia) nei secoli ha vissuto tante stagioni diverse, vestendo innumerevoli “forme”. Gli Stati moderni passando dal liberalismo al socialismo, dalla monarchia alla dittatura, hanno quasi tutti scelto il modello democratico come forma di governo (seppur con “gradi” diversi). Ma non esiste solo il cittadino o lo Stato. Infatti, uno dei principi costituenti delle democrazie è il principio di sussidiarietà, secondo il quale, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione. Questo principio può essere visto alla luce di varie possibilità fra le quali quella in cui “il cittadino, sia come singolo che attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più prossime”. I corpi intermedi sono “organismi di prossimità” al di fuori delle sedi istituzionali, capaci di creare reti in modo autonomo dalla sfera statale e con varie sfumature istituzionali presenti nelle loro attività. Sono tali tanto l’associazione, quanto il comitato genitori di una scuola, gli enti non profit del volontariato e del Terzo Settore. Forlì è una città ricca di realtà del Terzo Settore. Non c’è dubbio che questi enti hanno un ruolo cruciale nel “buon vivere” della nostra comunità. Sono (più o meno consapevolmente) protagoniste della politica, essendo organizzazioni che coinvolgo direttamente i cittadini, portandoli a divenire portatori di interessi, “azionisti” di un territorio.

Alcuni degli asset di valore, di cui sono portatrici queste organizzazioni, possono essere caratteri distintivi che esprimono la fisionomia del terzo settore:

  • La storia di queste organizzazioni ha spesso a che fare con l’identità di una società integrandosi con essa. Gli enti del Terzo Settore abitano le comunità oltre i cicli delle elezioni politiche o amministrative, portando continuità e coerenza di visioni e contenuti: spesso la mission stessa di questi enti rappresenta un progetto a lungo termine per la comunità.
  • Sono soggetti che generano inclusione e coesione sociale rendendo i territori più competitivi perché promuovono il modello dell’economia circolare, sviluppando un sistema inclusivo delle fasce più fragili della popolazione.
  • Spesso sono soggetti economici, che oltre a moltiplicare “qualità sociale”, generano anche economia civile, capace di produrre valore per i territori a differenza di quello estratto di molte nuove forme di economia (es. AirBeB in Italia paga solo 150mila euro di imposte a fronte di milioni di fatturato). Questi soggetti economici non separano la democrazia dal mercato e l’economia dalla redistribuzione.
  • Sono costruttori di beni comuni e quindi di bene comune, nell’ottica della condivisione ed accessibilità a tutti. L’economia ha oggi un grande bisogno di porre al centro i beni comuni visti come relazioni e non come merci, altrimenti si cade, e sempre di più, nella nota “tragedia” dei beni comuni, dove questi vengono distrutti per un consumo eccessivo da parte dei suoi utilizzatori.
  • I corpi intermedi sono spesso portatori di una visione territoriale: in particolare promuovono il bene comune, la giustizia e la pace sociale. Costruttori di una politica della realtà che mette al centro la comunità e l’uomo (non se stessa) connettendo le risorse del territorio, in un approccio sistemico che fa dialogare infrastrutture sociali, senza parcellizzare, attivando nuove politiche partecipate di governance in cui, ogni membro, valorizza in modo sostenibile il patrimonio del proprio “ecosistema”, utilizzando il principio di precauzione nelle scelte per evitare che le risorse siano consumate.
Marco Olivetti

Infine, una delle caratteristiche principali dei corpi intermedi è quella di saper trasformare spazi degradati o senza “significati” in nuovi luoghi di riferimento per le comunità, luoghi di senso, di appartenenza, di bellezza, di inclusione sociale. Partecipazione, motivazioni intrinseche, attivismo comunitario, economie sociali sono gli immancabili ingredienti che insieme alla cultura, vero e proprio “lievito” di questi processi, vengono ricombinati per alimentare valore tanto nostre città. Lo spazio pubblico (è per il Terzo Settore, oggi più che mai, il terreno di sperimentazione per un “nuovo ciclo d’innovazione sociale” che passa da “nuove infrastrutture inclusive”, ove la produzione, il consumo e la partecipazione tendono a fondersi.

Più che raccontare le nostre attività storiche, racconto tre esperienze recenti che possono esprimere il nostro investire sulla comunità. Si tratta di progetti che mettono al centro l’importanza di rigenerare spazi per trasformarli in luoghi di senso, di appartenenza, di bellezza, di inclusione sociale e che hanno queste caratteristiche: partecipazione attiva della comunità e co-progettazione e cogestione fra più soggetti pubblici e privati. Il primo è il Festival dei Murales (attività che abbiamo coordinato), realizzato per volontà del Comune di Forlì, insieme alla nostra cooperativa che ha fatto la regia del festival ed alcune aziende e associazioni di categoria. Noi abbiamo svolto la parte progettuale e di coordinamento insieme al Comune e attivato vari laboratori perché gli abitanti e la cittadinanza venissero coinvolti nel processo di realizzazione dei murales. Obiettivo è stato quello di rigenerare spazi del centro storico che diventassero luoghi belli (artisticamente significativi), nuovi punti di riferimento per la comunità. Il secondo progetto è il Festival dell’incontro, realizzato con il CSS e la settimana del Buon Vivere, i commercianti di corso della Repubblica e varie associazioni culturali e di volontariato. L’obiettivo era allestire corso della Repubblica perché diventasse un luogo in cui incontrarsi attraverso il gioco, il ballo, la musica, l’arte, perché l’incontro genera la coscienza di una comunità e quindi responsabilità e inclusione sociale. E riproporre l’importanza delle relazioni come tema nel concerto di Simone Cristicchi (che per l’occasione è venuto gratuitamente) per costruire comunità che mettono al centro l’umano. Infine, Piada 52: al parco di via Dragoni, uno spazio degradato, si è svolta una attività di progettazione partecipata in cui la cooperativa si è aggiudicata la possibilità di realizzare un punto di ristorazione nel Parco (che si trova al centro del quartiere in cui operiamo). Nella realizzazione sono stati coinvolti molti soggetti ed oggi i proventi sono interamente reinvestiti nel lavoro di persone con svantaggio (non welfare distributivo ma generativo) e in infrastrutture nel parco (ad oggi già oltre 25mila euro investiti in alberi , panche, ristrutturare l’anfiteatro). Da luogo di degrado, spaccio e prostituzione a luogo frequentato oggi prevalentemente da famiglie e giovani col valore aggiunto dell’inclusione sociale.

Marco Olivetti

Fra gli stati contemporanei, quelli che adottano la democrazia come principio di struttura, accolgono, senza eccezioni, la democrazia rappresentativa. Le ragioni di questo assetto sono anzitutto pratico-dimensionali: la democrazia diretta, nella sua forma pura, non è praticabile a livelli territoriali di governo superiori o più estesi di un piccolo Comune. La democrazia rappresentativa può dirsi “democrazia” in quanto si basa sull’elezione a suffragio universale quantomeno del Parlamento e, in alcuni casi, del vertice dell’esecutivo (regimi presidenziali; nei regimi parlamentari l’esecutivo deriva dalla maggioranza parlamentare eletta dal popolo).

La storia del costituzionalismo occidentale dalla fine del settecento ad oggi è percorsa da una contraddizione: da un lato la solida consapevolezza che solo la democrazia rappresentativa è praticabile; dall’altro una sorta di nostalgia per la democrazia diretta come forma pura di democrazia. I populismi dei nostri tempi sono solo l’ultima generazione di questi nostalgici dell’impossibile. A mio avviso la democrazia diretta è impraticabile anche nell’era di Internet. Certo, quest’ultimo apre nuovi canali che consentono la comunicazione fra rappresentati e rappresentanti e fra governati e governanti. Ma non è in grado di sostituire i Parlamenti, se non altro perché i partecipanti alle consultazioni online sarebbero comunque una piccola minoranza degli elettori, in virtù della legge ferrea della divisione del lavoro. Anche se gli istituti di democrazia partecipativa come il referendum e le nuove possibilità di consultazione online aprono nuove prospettive attraverso le quali la democrazia rappresentativa può essere arricchita, essi non possono sostituirla. Analogamente insostituibili sono i principi che strutturano la democrazia rappresentativa come il libero mandato parlamentare, che è essenziale alla funzionalità dei Parlamenti, i quali devono reagire agli stimoli e ai problemi che emergono continuamente nella realtà e non possono limitarsi ad agire sulla base di un mandato pre-determinato (valga per tutti l’esempio di far fronte al Coronavirus). Tuttavia alcune estreme conseguenze del libero mandato possono certo essere limitate, ad esempio prevedendo con riforma costituzionale limiti alla possibilità dei parlamentari di cambiare gruppo politico di appartenenza.

Il grande nodo irrisolto della democrazia rappresentativa – che sta alla base della nostalgia della democrazia diretta – è ovviamente lo “scarto” che in essa si produce inevitabilmente fra rappresentanti (e più in generale governanti, classe politica) e rappresentati. Questo nodo non può essere sciolto, ma può essere ridimensionato arricchendo i mezzi di comunicazione. In un tempo nel quale i partiti svolgono in maniera ormai molto ridotta questa funzione di canali di partecipazione e si limitano per lo più ad operare come sedi di elaborazione dell’offerta politica, altri canali vanno costruiti ed utilizzati. Gli istituti della democrazia deliberativa sono certo uno strumento utile in questa prospettiva. Lo sono egualmente alcune tecniche di democrazia diretta, Lo è più in generale una maggiore capacità di ascolto da parte della “classe politica”, che al tempo stesso richiede una cittadinanza attenta e vigilante, pur nell’impossibilità per il cittadino medio di occuparsi di politica a tempo pieno.