Mons. Livio Corazza, l’intervista rilasciata in occasione della prima visita in diocesi

Mons. Livio Corazza (a sinistra) insieme a mons. Lino Pizzi

Segue la prima intervista a mons. Livio Corazza, nuovo vescovo della diocesi di Forlì-Bertinoro, che gli è stata rivolta in occasione della sua visita nella nuova diocesi il 30 gennaio scorso.

Come ha appreso della nomina e quali sentimenti ha provato?

Non molti giorni fa, il Nunzio per l’Italia mi ha consegnato a mano la lettera con la quale venivo informato che il Papa mi aveva nominato Vescovo della diocesi di Forlì-Bertinoro. Di primo acchito ho avvertito la mia inadeguatezza davanti a questa proposta e sono stato tentato di respingerla. Poi, riflettendoci, non me la sono sentita di dire di no a papa Francesco. E, come ho fatto altre volte, mi sono fidato di chi mi assegnava un incarico. È successo altre volte e ho constatato che il Signore non mi lasciava solo di fronte a nuove missioni. Sono certo che avverrà anche questa volta. In Te, Domine, speravi.

Da parroco a vescovo: un bel salto di responsabilità….

Non è facile oggi fare i parroci e tanto meno i vescovi. Come non è stato facile dirigere una Caritas diocesana, nel pieno della guerra nella ex-Jugoslavia, o quando si è dovuto affrontare gli inizi del fenomeno migratorio, con i problemi di accoglienza e di integrazione che diventavano sempre più lancinanti. Non è stato facile aprire le Caritas diocesane alla dimensione europea e internazionale. Certo, una diocesi mi mette davanti a responsabilità nuove ed inedite. Fare i vescovi è un po’come fare i genitori oggi: non ci sono modelli del passato da applicare tali e quali al presente e in tutte le situazioni. Per questo motivo ritengo che occorra sempre e prima di tutto ascoltare. È quello che cercherò di fare.

Pastore, padre, maestro, guida: come definire oggi il compito del vescovo?

Ricordando che il Vangelo al proposito è chiaro: tutti questi ruoli non possono essere in qualche modo usurpati. Sarebbe un errore terribile. Solo Dio è Padre, e solo il Cristo è nostro Maestro, Pastore e Guida. Ognuno di noi è prima di tutto un figlio, un fratello, un discepolo. Per me, dunque, fare da padre significa obbedire, con le parole e i gesti, a colui che è Padre oltre ogni misura e immaginazione. Essere pastore vuol dire difendere i più deboli, tenere unito il gregge, fare in modo che chi è tentato di fare fughe in avanti aspetti chi fatica e accompagnare chi ha bisogno di aiuto; accettare di fare da maestro esige che insegni più con l’esempio che con le parole; guidare, conduce a guardare avanti e lontano, ad alzare lo sguardo tenendo i piedi per terra. Non parto dal nulla: vengo accolto da una Chiesa locale che ha un passato ricco di fede e di carità, esempi illustri e sempre attuali di santità. Mi impegnerò dunque a riconoscere quello che lo Spirito continua a disseminare come doni e carismi preziosi. Il vescovo è come un allenatore: deve cercare di mettere gli uomini al posto giusto e proporre una strategia. Incoraggiare e fare squadra. Ed essere pronto ad accettare le sorprese che Dio ci riserva.

Qual è oggi l’emergenza pastorale più urgente?

La trasmissione della fede ai giovani costituisce una sfida decisiva. Assieme a me tutti i cristiani adulti sono chiamati a vivere la fede in modo autentico. Solo a questa condizione troveremo linguaggi che la rendano attraente anche per le giovani generazioni, che potranno considerarla come una risorsa importante per realizzarsi personalmente ed essere felici, attraverso un’esistenza buona e bella, secondo il Vangelo. La trasmissione della fede, naturalmente, è compito di tutti i battezzati, non solo dei preti o dei catechisti.

Ci sono persone che hanno lasciato un segno particolare nella sua formazione?

Se, come dice un proverbio, per educare un bambino ci vuole un villaggio per educare un sacerdote e un vescovo ci vuole … un popolo, a partire dalla famiglia, passando per il Seminario (educatori e professori, alcuni molto significativi) e le parrocchie della mia infanzia e giovinezza, le parrocchie dove ho svolto un servizio e la Caritas. Sono stato 20 anni in Caritas, una scuola di vita, e ricordo in particolare mons. Nervo e mons. Pasini, importantissimi. E poi Enzo Bianchi, che ho ascoltato fin dagli anni settanta, quando veniva alla Casa dello Studente a Pordenone, a tenere le sue appassionate meditazioni, padre Visentin, per la liturgia, mons. Sartori, per l’ecumenismo. Ho letto molto del card. Martini… Insomma, tanti. Sono stato fortunato.

Nel suo saluto ha ricordato la venerabile Benedetta Bianchi Porro. La nostra Chiesa vanta molte figure di santi e testimoni. Ne conosce qualcuna?

Non nego che, come oramai facciamo tutti, ho consultato subito il sito diocesano e altre pubblicazioni ed ho visto davvero un bel numero di santi, beati, venerabili e testimoni. Da conoscere e da fare conoscere. Ho conosciuto (non personalmente) soprattutto uno di questi testimoni, Annalena Tonelli. Una grande figura di donna, credo che sia davvero una martire-testimone per come è vissuta e non solo per come è morta. E Benedetta Bianchi Porro, attraverso l’amico don Andrea Vena (della diocesi di Concordia-Pordenone) che ha studiato la sua vita…

Lei ha anche un fratello prete: come vede il problema della diminuzione dei sacerdoti che colpisce anche la diocesi di Forlì-Bertinoro?

Nelle famiglie numerose era più facile incoraggiare i figli ad andare sacerdoti. Due fratelli preti in una famiglia è un evento rarissimo oggi. La diminuzione del numero dei sacerdoti, penso, sia un problema che dobbiamo affrontare insieme, a partire dalle famiglie. E con il coinvolgimento dei sacerdoti e diaconi: se siamo generosi, contenti e uniti, se viviamo in modo fraterno e solidale, al di là delle diverse sensibilità e strategie, potremo fare breccia sui giovani… E poi, quello che conta, è la preghiera. Vedo che nella diocesi non mancano monasteri di vita contemplativa (vere centrali di fede): preghiamo per le vocazioni sacerdotali e religiose (ma anche per tutte le vocazioni, a partire da quella al matrimonio). Le comunità hanno bisogno di preti e di preti santi.

Forlì ha in comune con Pordenone la presenza dell’Electrolux: come vede oggi la realtà sociale ed economica?

Purtroppo abbiamo spesso dimostrato di essere impreparati davanti alle trasformazioni epocali che hanno caratterizzato la fine del XX° secolo e l’inizio di questo secolo, sia in ambito economico che finanziario. Per questo siamo stati travolti da crisi impreviste e di grandi dimensioni. La nostra dignità e la nostra sicurezza, la possibilità di scelte durature e l’assunzione di responsabilità familiari passano attraverso il lavoro, un lavoro che, certo, è conquista e opportunità, ma anche un diritto e una garanzia. Rispetto agli anni passati, prima della crisi, sembra che ora tutto sia più precario e instabile. Basti una crisi in America o in Asia e da noi si chiudono le fabbriche. Questa incertezza è cattiva consigliera. Induce a leggere la realtà senza coglierne la complessità, gli aspetti positivi e quelli problematici, porta a trovare i capri espiatori (vedi i profughi), rende succubi dei mal di pancia, delle percezioni superficiali.

Il Papa ci invita ad una Chiesa in uscita. Secondo lei, che è anche giornalista, quale ruolo possono avere le comunicazioni sociali?

La comunicazione sociale ha un ruolo decisivo. Per la formazione di una coscienza e di un agire sociale ed anche ecclesiale, la verità e la completezza dell’informazione risultano di primaria importanza. Nel mare delle informazioni, diventa comunque imperativo educare al discernimento.

Conosce già la terra di Romagna? Sa che tra le nostre specialità culinarie ci sono gli “strozzapreti”?

Certo. Purtroppo dovevo mettermi a dieta da tempo, anche se sarà difficile qui in Romagna!

Ha qualche hobby? È sportivo? Tifa per una squadra in particolare?

Ho giocato a pallone fino a qualche anno fa, quando era ancora possibile non confondermi con il pallone! Ho smesso dopo aver segnato un goal nella squadra dei preti contro i politici. Volevo finire in bellezza. Tifo per la Juve, ma so essere critico se gioca male.