Il card. Gualtiero Bassetti: “Il 2021 potrebbe essere l’anno della solidarietà”
Pubblichiamo qui di seguito la lettera aperta del cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana,, pubblicata su Famiglia Cristiana.
Cari fratelli, care sorelle, “Te Deum laudamus: te Dominum confitemur…” (“Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore”). Anche il 31 dicembre di quest’anno, come da tradizione, risuona nelle nostre chiese questo antico inno cristiano con cui si rende grazie al Signore per quanto vissuto. Il 2020 che ci lasciamo alle spalle è, senza dubbio, un anno carico di lutti e sofferenze. La pandemia ha minato, nel profondo, il tessuto sociale e ha incrinato la fiducia nel futuro. Ancora oggi, infatti, non sappiamo quando terminerà questo tempo e il senso di frustrazione e di angoscia, che accompagna la vita di molte persone, è ben visibile nei loro sguardi e anche nei loro corpi. So bene cosa significa essere ricoverato in terapia intensiva e poi affrontare la convalescenza. E proprio per questo il mio primo pensiero va alle tante persone che hanno sofferto direttamente o indirettamente per la pandemia: a quanti sono morti, a quanti si sono ammalati e a tutte le loro famiglie. Quando, ogni sera, leggo le statistiche sui contagi penso che quelle cifre sono in realtà dei volti di uomini e donne, con dei nomi e con storie uniche e irripetibili. Sono rimasto molto colpito dai racconti dei sacerdoti che hanno riferito di non aver potuto dire una parola di conforto ai malati e, in alcuni casi, nemmeno dare loro l’estremo saluto.
Ma penso anche a quei cappellani ospedalieri che invece sono riusciti nella loro missione: portare una parola di salvezza a tutti quei malati soli, che non potevano ricevere visite. Tuttavia, nel guardare all’anno alle spalle, rivolgo lo sguardo anche a quello che viene. Questa, infatti, è la vocazione del cristiano: egli è chiamato a tenere i piedi per terra, ma a volgere lo sguardo fisso sul Signore, che è Dio della vita. Mai come in questi momenti è straordinariamente attuale una frase del Qohelet: “Non dire: ‘Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?’, perché una domanda simile non è ispirata a saggezza”. A volte, ognuno di noi ha la tentazione di diventare un laudator temporis acti, ovvero una persona che sottolinea soltanto i bei tempi andati. Ma questo non sarebbe onesto e, soprattutto, non sarebbe cristiano. Ogni cristiano, infatti, è chiamato a vivere l’ora presente ben sapendo che ogni epoca ha le sue difficoltà.
Gesù ha affrontato molte avversità ma ha saputo dare una grande risposta di amore: un amore gratuito e senza tornaconto personale. Guardare a quello che Gesù ha fatto nel suo tempo ci serve a immaginare cosa possiamo fare noi cristiani nel nuovo anno. Non mi piace fare auspici: preferisco suggerire degli impegni concreti. Il 2021 potrebbe essere l’anno della solidarietà. Abbiamo dato prova ancora una volta della capacità di trovare unità nei grandi dolori e nelle grandi imprese. Per un cristiano questa unità si chiama solidarietà e oggi questa solidarietà significa fraternità: papa Francesco ce lo ha spiegato ampiamente nell’enciclica Fratelli tutti. Le fatiche di questa stagione si potranno superare solo insieme. In questo, la comunità cristiana può essere maestra di quell’amore che va al di là dei semplici rapporti di collaborazione.
Trovo molto utile, allora, meditare sulla figura di san Giuseppe, come ci ha suggerito papa Francesco, indicendo anche un anno speciale a lui dedicato. Il Vangelo riserva poche righe a questa figura, di lui non si registra alcuna parola: egli però ascolta, vede e agisce. È un uomo che ha saputo mettersi a disposizione del progetto di Dio per il bene degli altri. Lo si potrebbe definire il primo “cristiano in uscita”: nell’anno che inizia mi piacerebbe vedere le nostre chiese e le nostre strade riempirsi di tanti san Giuseppe del terzo millennio. Da ultimo, riconosciamo nella infinita misericordia di Dio il sostegno e il senso ultimo di ciò che avviene. Non per fatalismo, ma per fede. La conclusione del canto del Te Deum sostiene la nostra riflessione: “In te, Domine, speravi: non confundar in
aeternum” (“Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno”).