Forlì Città Aperta: il fallimento della sanatoria per la regolarizzazione dei migranti

Da pochi giorni sono scaduti i termini della sanatoria dei migranti irregolari. L’associazione Forlì Città Aperta si è impegnata fin dal giorno della pubblicazione del Decreto Legge (19 maggio) nello studio del testo, per rendere disponibile sin dal primo giorno utile (il 1° giugno) uno sportello informativo per i migranti, realizzato assieme ad Emergency Forlì e Libera e coordinato con lo sportello sindacale della Cgil (e con il supporto di tante altre associazioni in tutto il percorso) per dare le informazioni necessarie ai migranti e ai datori di lavoro, cercando di massimizzare quel poco che la norma concedeva in termini di regolarizzazione.

Purtroppo le interpretazioni ufficiali per diramare i dubbi sul testo di legge sono arrivate in tempi drammaticamente tardivi: basti pensare che l’ultimo chiarimento da parte del Ministero dell’Interno è arrivato il 5 agosto, a 10 giorni dalla scadenza dei termini. La mancanza di chiarezza da parte del Governo, unita ad un’applicazione della norma sul territorio estremamente caotica, hanno causato una gigantesca mole di lavoro, per raggiungere un obiettivo nel complesso assolutamente non sufficiente rispetto agli obiettivi che la norma si era data.

Sulla carta, infatti, i tre maggiori obiettivi del provvedimento avrebbero dovuto essere il contrasto della diffusione del covid-19, il sostegno al reparto agricolo in forte crisi per mancanza di manodopera, l’emersione del lavoro nero. Solo il 13% circa delle domande di regolarizzazione ha coinvolto il settore dell’agricoltura, perché la forma con cui è stata scritta questa legge ha reso estremamente difficile e confusa la sua interpretazione per un’eventuale applicazione nel mondo agricolo. Ad esempio, chi ha fatto domanda per assumere un lavoratore per la stagione agricola estiva, sarà convocato in Prefettura solamente a novembre per la firma del contratto, causa tempi infiniti del procedimento. Sono state presentate nel complesso circa 200mila domande, a fronte di una stima al ribasso di circa 600mila persone senza documenti in Italia, lasciando quindi almeno 400mila persone nuovamente prigioniere della marginalità e dello sfruttamento a cui si è costretti in assenza di documenti e rendendo vano ogni progetto di prevenzione, monitoraggio e contrasto del contagio da covid-19.

Questa legge inoltre, è riuscita anche a precarizzare la vita di alcuni migranti che già avevano trovato una seppur fragile stabilità: alcune persone sono state costrette a lasciare lavori a tempo indeterminato perché il settore lavorativo in cui erano assunti non era tra quelli compresi nella sanatoria, abbandonando quindi la stabilità di un lavoro sicuro per farsi assumere con contratti precari nel tentativo di poter avere un documento. Forlì Città Aperta ha affiancato migranti nei labirintici ostacoli burocratici per la presentazione delle domande, resi particolarmente gravi dalla lentezza con cui i chiarimenti interpretativi stentavano ad arrivare, e ha assistito alla prevedibile dinamica per cui i 500 euro che il datore di lavoro avrebbe dovuto pagare per fare domanda di regolarizzazione per un suo dipendente sono stati pagati, con ogni probabilità nella maggior parte delle occasioni, dal dipendente stesso.

I già forti limiti della legge sono stati poi ancora più complicati dall’applicazione della stessa nella provincia di Forlì-Cesena: sono infatti state riscontrate sin dal primo giorno interpretazioni dei criteri di ottenimento del permesso maggiormente restrittive rispetto al testo di legge da parte delle istituzioni locali, il che ha portato ad un lungo percorso politico di lotta a cui hanno partecipato centinaia di migranti e decine di associazioni del territorio, e che solo dopo quasi due mesi di comunicati, incontri e presidi di protesta ha portato infine ad un accordo con la Prefettura e la Questura per un’applicazione corretta e letterale del testo di legge, senza frapporre ulteriori ostacoli
all’ottenimento dei permesso. Oltre a ciò, ci sono stati numerosi problemi nei rapporti con vari soggetti del territori: le Poste Italiane, delegate alla raccolta delle domande ma ferme in una interpretazione dei paletti legislativi assolutamente restrittiva che ha fortemente limitato nei fatti la possibilità di presentare domanda anche per persone che ne avevano diritto (problema riscontrato a Forlì ma assente a Cesena e nelle altre città della Romagna, il che dimostra l’arbitrarietà della posizione assunta da molti sportelli postali a Forlì); le associazioni datoriali dell’agricoltura, alcune delle quali sconsigliavano sistematicamente ai datori di lavoro di procedere all’assunzione tramite sanatoria (forse spaventati da una legge poco chiara), impedendo di fatto di accedere alla sanatoria a lavoratori che avevano tutti i requisiti per farlo, inventando paletti legislativi inesistenti.

Quella che poteva essere un’opportunità per garantire maggiori diritti e sicurezza per tutta la società, per combattere la criminalità organizzata, per sostenere con il lavoro regolare le entrate dello Stato, è stata nuovamente sprecata per paura politica e assenza di logica pratica. Il tema dell’immigrazione continua ad essere trattato con disumanità e assenza di un progetto strutturale; quanto ancora i migranti troveranno sistematici ostacoli nella propria vita quotidiana – anche sul nostro territorio – soltanto per il fatto di essere stranieri? Evitare questo fallimento sarebbe stato molto semplice: sarebbe bastato dare un documento temporaneo per ricerca lavoro a tutti gli irregolari sul territorio.