AC, una riflessione sulla crisi della società italiana e il ruolo della Chiesa

Pubblichiamo qui di seguito il comunicato dell’Azione Cattolica di Forlì-Bertinoro contenente una riflessione sulla società italiana e il ruolo della Chiesa.

La prima missione per la nostra Chiesa, per la nostra comunità ecclesiale, è quella di stabilire un contatto con i giovani che si sono allontanati perché non hanno conosciuto l’esperienza di fede come qualcosa di vivo e vitale. Serve costruire prima di tutto un tessuto di relazioni: così potremo andare oltre l’idea che la vita cristiana si riduca a un percorso funzionale a ottenere dei sacramenti.

Due sono le esigenze sociali, come riporta la riflessione del sociologo Giuseppe De Rita: la sicurezza e il senso. Le due tematiche sono connesse e quasi sovrapposte: cerchiamo una sicurezza che non riusciamo a vedere nel futuro, perché c’è una precarietà continua di vita che ti toglie l’orizzonte di senso. Quando non si ha una prospettiva di stabilità perché mancano le opportunità per realizzarsi professionalmente, e quindi per costruire la propria vita, dare forma a sogni e aspirazioni, come ad esempio creare una famiglia, allora viene meno tutto, anche il senso. E su questo terreno ha gioco facile chi propone soluzioni semplicistiche, mescolando i due elementi.

Ma lo spazio per un racconto diverso c’è: per prima cosa serve mostrare che l’esperienza di fede è appunto un’esperienza viva, un’esperienza di comunità, e che lì, pian piano, in un lungo percorso si possono trovare le risposte alle domande di senso che come tutti ti porti dentro. Serve costruire un tessuto di relazioni: così potremo andare oltre l’idea che la vita cristiana si riduca a un percorso funzionale a ottenere dei sacramenti. Questa idea stereotipata della vita di fede nasce anche dai pregiudizi che si hanno rispetto al mondo ecclesiale, spesso frutto di narrazioni mediatiche parziali.

Il punto d’incontro è sulla concretezza, non sulla base dell’ideologia: si possono trovare disponibilità a fare qualcosa insieme per il bene della comunità. Chiaramente lo stile con cui abitare questo dialogo è conseguenza di una formazione cattolica. Da un lato dev’esserci l’impegno a cercare e trovare quei punti d’incontro, quelle tematiche, quegli spazi d’impegno concreto che possono interessare tutta la comunità, e non solo la sensibilità di cattolico. È un frutto dello sguardo al “bene comune” che cresce in un’esperienza matura di fede. Dall’altro lato c’è la maturata consapevolezza che la formazione di credente è il riconoscere che nell’altro, anche se viene da un percorso diverso, c’è un valore, che l’altro mi può insegnare qualcosa. Primo passo quindi è cominciare ad ascoltare l’altro in cui, anche se non è credente, siamo convinti che ci sia un frammento di Vangelo, un frammento di verità, e da qui partire per costruire qualcosa a partire da ciò che praticamente puoi fare lì dove sei, come sei.

L’idea di fondo sta nel fatto che i giovani sono rimasti ad un approccio intellettuale della fede, cioè hanno incontrato una Chiesa che ha proposto solo concetti perché forse il percorso che ti porta fino ai sacramenti viene ancora associato al percorso scolastico: in qualche modo, la scuola e il catechismo viaggiano quasi paralleli. Mi sembra che le esperienze di Chiesa che attirano i giovani sono quelle che inizialmente ti chiedono di dare un contributo su qualcosa che tocca la propria vita. Poi in un processo, con l’accompagnamento di adulti, con l’accompagnamento di una comunità, si arriva insieme a definire il perché uno si impegna, che cosa c’è di più profondo in questa voglia di spendersi per un bene anche molto concreto, molto semplice.

Il sentimento prevalente oggi nella società occidentale, contemporanea è l’indifferenza. Le giovani generazioni sono soprattutto impaurite. Dopo lo choc economico del 2008 abbiamo sentito parlare così tante volte di crisi, di opportunità che vengono meno, da pensare già in partenza che il nostro futuro sarebbe stato peggiore del presente. Questo ha sviluppato una forma di indifferenza alle dinamiche di comunità, perché in fondo devo prima di tutto pensare a salvare me stesso. Ecco allora che nessuno ha più tempo di preoccuparsi degli altri, della comunità, dal momento che c’è bisogno di mettersi prima al sicuro, perché il futuro non c’è per tutti. E questo non fa per forza una persona arrabbiata, però fa si che ci si chiuda alla relazione con gli altri. Penso a tutti i movimenti ambientalisti, a partire dai Fridays For Future lanciati da Greta Thunberg. Se la questione tocca direttamente, se ci rendiamo conto che qualcosa deve cambiare perché così non possiamo andare avanti, sentiamo tutti il desiderio di metterci in gioco.

Il ruolo della Chiesa, delle nostre comunità e dei nostri gruppi, può essere allora quello di aiutarci a far uscire ciascuno dalla sua piccola bolla e di creare (o ritrovare) spazi fisici d’incontro e di dialogo. Forse solo noi, come Chiesa – o anche la scuola, con cui la stessa Chiesa spesso riesce a dialogare – possiamo riconoscere l’urgenza di mettere insieme persone che altrimenti non avrebbero dove incontrarsi, senza avere la tentazione di guardare alla carta d’identità, stimolando processi inclusivi di costruzione del bene comune, del bene possibile.

EDOARDO RUSSO presidente di Azione Cattolica della Diocesi di Forlì-Bertinoro