Roberto Ruffilli, l’omelia di don Francesco Ricci per la veglia celebrata 30 anni fa

Alla soglia del trentennale della morte di Roberto Ruffilli, che ricorre il 16 aprile 2018, riproponiamo l’omelia pronunciata da don Francescro Ricci alla veglia di preghiera per il professore e politico forlivese celebrata a San Mercuriale il 17 aprile 1988.

Don Francesco Ricci

“Siamo confusi e spaventati da questa morte; vorremmo che questo cadavere in mezzo a noi fosse un fantasma, non una realtà. Turbata è la nostra coscienza di uomini, vacillante la nostra speranza cristiana. Signore, perché tutto questo?

Con una domanda siamo entrati accompagnando questo amico in questo luogo che, come ha cantato il coro all’inizio, è il sacramento della potenza di Dio in mezzo a noi. Questo tempio, testimone fin dagli inizi della storia di questo popolo che tutto ciò che di bene e di male l’uomo può compiere fu compiuto: qui, in questa città, in questa piazza, il bene e il male, la giustizia e l’ingiustizia, la bellezza e l’orrore, la violenza e la pace. Testimone di ciò che una storia millenaria ha vissuto per generazioni e generazioni con queste sue pietre che sin dagli inizi parlano alla coscienza dell’uomo forlivese. Ma, nello stesso tempo, testimone, da nessuna violenza mai distrutto, dell’annuncio che abbiamo sentito ripetere ancora oggi, sotto queste volte, della Risurrezione di Cristo.

E qui anche questa ultima violenza, questo ultimo delitto che turba le nostre coscienze, che fa macerare la nostra speranza, viene a chiedere una risposta, una risposta di pace.

Noi non possiamo immaginare come siano stati gli ultimi momenti di vita di Roberto; nessuno forse potrà mai svelare il mistero di come è accaduta questa morte: la giustizia umana dispone di troppo deboli mezzi per compiersi; però possiamo sì pensare a che cosa è accaduto quando gli uomini si sono trovati uno di fronte all’altro. Nell’uno la paura, negli altri, gli assassini, l’odio. E forse anche parole. Possiamo immaginare che, conformi alla loro follia, gli assassini gli abbiano somministrato qualcuno dei loro saggi di politica; però sappiamo con certezza che tutte le parole uscite dalle loro labbra sono parole di menzogna, qualunque parola abbiano detta; così come sappiamo che qualunque parola sia uscita dalla vittima, la sua bocca ha pronunciato parole di verità. E anche quando l’ultima parola è stata l’arma, una parola cupa (nessuno ha sentito i colpi), anche quell’ultima parola è stata una parola di menzogna, la più tremenda menzogna che l’uomo possa pronunciare, la menzogna di Caino, la bestemmia di Caino.

Roberto Ruffilli

Così questa situazione, che solo possiamo immaginare con la fantasia (e non troppo, così che il cuore non s’impaurisca più di tanto), ci porta ad un’altra situazione di incontro tra uomini in cui gli uni parlavano, e qualunque parola uscisse dalla loro bocca era menzogna, e Uno taceva e le poche parole che disse prima di cadere vittima della violenza furono parole di verità, parole vere. Così morì Cristo sotto le mani dei suoi assassini: Egli, dicendo la verità, loro pronunciando la menzogna. La loro per sempre menzogna, la Sua per sempre verità.

Vi sono momenti, non sono comuni, ma vi sono, in cui la verità e la menzogna acquistano come un corpo, diventano come materia: l’effetto della menzogna l’abbiamo qui davanti a noi. Questo corpo dilaniato, distrutto dalla violenza della menzogna. Ma la parola che Cristo pronunciò di fronte ai suoi assassini fu la parola della vita, della verità della vita: “Sono venuto perché abbiate la vita, e l’abbiate pienamente”, e la sua parola si compì, non come parola, ma come avvenimento. Risorse infatti dai morti e “la morte non ha più alcun potere su di Lui”; non ha alcun potere su coloro che credono in Lui.

Noi siamo qui perciò oggi, in questo straordinario pellegrinaggio, che apparentemente agli occhi del mondo è un rito funebre che accompagna un morto alla tomba, per rinnovare, fin dalle radici, dalle origini della nostra fede, la fede che abbiamo ricevuta in una continuità ininterrotta di generazioni e generazioni, sin dai nostri avi che per primi la ricevettero dall’annuncio evangelico del Cristo risorto.

Siamo qui per fare di questa fede l’arma della verità con cui combattere contro tutte le ingiustizie, come sempre, nel corso della nostra storia millenaria, i nostri padri hanno trovato nella fede la forza per ristabilire la giustizia e ricostruire la convivenza umana dopo tutte le lacerazioni frutto della violenza e dell’odio. Non è immaginabile una storia senza la violenza, senza l’odio, senza il sangue fratricida, ma non è neppure vivibile una storia umana senza la presenza della fede.

Noi sappiamo che la più bella testimonianza che Roberto ci lascia della sua esistenza terrena è appunto la sua fede, la fede in cui è stato cresciuto sin dalla sua infanzia nella famiglia, nella sua adolescenza nell’oratorio salesiano, e poi via via nel corso dei suoi anni alimentata dalla frequentazione di un ambiente cattolico che non è tale solo politicamente, ma è tale perché si caratterizza per questo straordinario dono dello Spirito che è la fede in Cristo morto e risorto.

Questa è la sua eredità più grande, più grande di qualunque eredità possa lasciarci. Si inscrive, l’eredità di Roberto, nell’eredità di tutte quelle generazioni che hanno dato vita alla fede testimoniata da queste pietre, così che mai la fede resterà una pietra morta: sempre la fede genererà pietre vive, uomini credenti, uomini capaci di lottare per la giustizia, per la verità, per la bellezza, per la libertà, per la dignità dell’uomo e per la pace nella società.

Da questa morte, io credo, noi dobbiamo trarre uno speciale messaggio, tutti noi, i più anziani e coloro che vengono dopo di noi, i giovani: assumere la responsabilità di fare di questa città, di questa società, di questa nazione, di questo mondo, un mondo umano, una città umana. La lezione che il Vangelo esprime con le stesse parole di Cristo: “Non temete coloro che possono uccidere il corpo, temete piuttosto colui che ha il potere di uccidere e il corpo e l’anima”.

Forti della fede in Cristo risorto, traiamo da questa morte nuova energia per una nuova battaglia”.